top of page
Stefano Pezzato
8 apr 2020
Nel 1988 Mariotti realizza la serie Rimani, che inaugura la sua collaborazione con la figlia Francesca nel lavoro sulle “mani”;
nel titolo egli rivela, oltre al carattere di “ripetizione” che questo progetto comincia ad assumere, pur nelle numerose e brillanti variazioni, un certo senso di malinconia. Si susseguono quindi le produzioni grafiche, pubblicitarie e documentarie, sia a stampa che in video. Nel 1989 gli viene commissionato un progetto pubblico per celebrare a Firenze il bicentenario della Rivoluzione francese, Arnò 89, che egli introduce con il motto sarcastico e sconsolato: “le rivoluzioni passano / gli anniversari restano”. Per l’occasione concepisce un “disegno analogico” incentrato ancora sulla “mappa urbana” di Firenze, in cui evidenzia l’immagine della ghigliottina formata dalla diagonale della Pescaia di Santa Rosa, fra Piazza Ognissanti (dove ha sede l’Istituto di cultura francese) e Piazza Cestello in Oltrarno. Le due piazze contrapposte sulle rive dell’Arno sono interpretate rispettivamente come la “Piazza dei Signori” illuminata di blu, che ospita un raffinato “spettacolo del teatro di corte” (musica contemporanea, musica da camera, balletto), e come la “Piazza del Popolo” illuminata di rosso, dove è proposto un più prosaico e rumoroso spettacolo televisivo (Videomusic) con presentatori dal vivo, riflettendo la separazione apparentemente insanabile fra i concetti di cultura alta e bassa, di esclusività e diffusione. Al centro della Pescaia illuminata di bianco sono ancorate grandi “bottiglie di champagne” con i tappi a forma di vasi funerari (Canopi), utilizzati come elementi simbolici e per contenere fuochi d’artificio. A corredo dell’evento sono realizzati anche un “albero genealogico” con le derivazioni artistiche fiorentine (L’albero dei nomi) e un “albero della cuccagna” a cui sono appese le lettere del motto rivoluzionario “liberté, egalité, fraternité” (L’albero delle parole), mentre sul fiume viene liberata una muta imbarcazione artigianale (L’albero mezzaluna). Rievocando una parte del proprio repertorio (la mappa, le piazze, il teatro, la proiezione, i vasi, l’albero genealogico, la mezzaluna) Mariotti coinvolge la città in un grande progetto collettivo, ma questa volta mette in scena soprattutto se stesso: “Non è stata una festa / per il fantasma / della rivoluzione / ma solo l’occasione / per giocarsi la testa” (Mariotti, Arnò 89, 1990). Nel 1990 (è l’anno dei mondiali di calcio in Italia) realizza la serie intitolata Fallo di mano, in cui “la palla”, elemento a lui familiare, per un momento viene “sottratta alle bercianti folle oceaniche / ed al suo lussureggiante paradiso pedestre” e torna nelle “mani” allenate di Mariotti.
Oltre alla produzione del catalogo di Arnò 89, durante l’anno egli è impegnato in altre produzioni grafiche e nella realizzazione l’articolato evento di Casa Malaparte a Capri (ricordato sopra nel capitolo “proiezioni immaginarie”). Nel 1991 concepisce il Polittico di San Giovanni, grande happening fluviale ironicamente “dedicato a pittori e canottieri” che si svolge sull’Arno, davanti agli Uffizi (dove ha sede la Società Canottieri Firenze), il 24 giugno in coincidenza con la celebrazione del santo patrono di Firenze. Il progetto, sviluppato nella successiva pubblicazione come un dialogo metaforico fra l’artista e San Giovanni, rappresenta l’ennesimo tentativo di confronto fra autori . contemporanei, tornati per l’occasione a definirsi “pittori”, e grandi maestri esposti al museo, i defunti che la città usa come propria “merce di scambio”. Sarcastico e allusivo, Mariotti ricorda che “sono giorni e giorni e giorni che per le strade del paese passano le avanguardie”; e pertanto si chiede: “ma quando arriva l’Esercito?”. Nonostante Firenze abbia avuto “più di un giovane amante: dal futurista all’astratto, passando dal poeta al musicista visivo al video artista, il concettuale lo stilista e architetto radicale”, pare che nessuno riesca a sciogliere il suo vincolo di “matrimonio” con il Rinascimento (Mariotti, Polittico di San Giovanni, 1993). Per questo egli prova un ultimo assalto, proprio nel cuore della città/museo, formulando un’invocazione e una rivendicazione con l’arma affilata del suo linguaggio sferzante: “Non c’è opera, il capolavoro basta solo ai tursti di passaggio, che non sia più che un frammento della opera vera: la città dell’arte. La sua composizione, per essere armonica e viva, ha bisogno di tutto e di tutti; del grande e del piccolo, del vecchio e del nuovo. Ha bisogno di essere conservata ma anzitutto come ogni polittico immaginata. [...] La pittura è morta. E noi, modestamente, vivi”. L’azione, nel tratto dell’Arno compreso fra la Pescaia di Santa Rosa e il Ponte alle Grazie e simboleggiato da un modello plastico a forma di pesce, prevede la distribuzione sul fiume di ottocento quadri di duecento pittori contemporanei, suddivisi in trittici, quadrittici e pentapolittici “predisposti all’incastro reciproco per concludersi in una immagine sola”. La composizione tuttavia non riesce e l’immagine finale del Polittico di San Giovanni assume le sembianze tragicomiche di un naufragio. L’artista è costretto ad accettare l’insuccesso: “dichiaro al cielo, al mondo e al fiume il mio fallimento”. E ad ammettere: “Il mio peccato, veniale, è immaginare quello che non vuole succedere [...] nonostante tutto, lo rifarei”.
Ancora Galleria 1
bottom of page