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Stefano Pezzato
30 mar 2020
Dopo aver realizzato decine di copertine per la collana del Castoro, ecco che Mariotti entra nella medesima con un “Fuori testo”
che rappresenta la testimonianza del suo laboratorio, del suo iter operativo. La prima sensazione che se ricava è senz’altro positiva per l’esegèsi interna al proprio lavoro, per la dimostrazione di una ricerca non affidata all’improvvisazione, ma al continuo calcolo della formalizzazione della fantasia nei cdici della grafica. E, diremmo, non si tratta di una fantasia ex imo, artistica in senso stretto, ma misurata in una verifica di segni, in un tessuto epistemologico denso di suggestioni per la sua tendenza all’analogia, alla metafora. Fuori Testo entra così, a pieno diritto, nella collana, ci presenta un poeta tout court per l’inventività delle immagini e non rimane dunque che prendere atto dei diversi modi di canalizzazione che ha la poesia oggi, per realizzarsi. Poesia è intanto quell’identificazione del divenire della storia attraverso i suoi segni, la rivitalizzazione dei suoi segni con un’attenta opera di focalizzazione ora sul particolare ed ora sul “campo lungo” e con interventi grafici atti a semantizzare in senso creativo un tessuto linguistico altrimenti privo di dissonanze. La dissonanza, il segno che nega e rifonda, ci pare un secondo aspetto (ma egualmente primario) dell’operazione mariottiana: di fronte a segni d’uso corrente, cifrati in altro senso, si rimane all’inizio allarmati come di fronte - ci si scusi il doppio senso - ad una scrittura criptografica (e si vuole dire precisamente un’operazione grafica all’interno delle cose allo scopo di rovesciarle a guanto per significarle secondo il proprio linguaggio, secondo la struttura logica propria della “poesia”). In questo modo Mariotti agisce sul reale, sui suoi codici architettonici e comportamentali ma distinguendosi, per l’acutezza delle scelte di laboratorio, dalla moda della poesia visuale dei nostri anni. Egli rimane - di fatto - un grafico, un designer, e ciò lo condiziona in parte positivamente, costringendolo a dosare i propri ingredienti, a scrivere secondo una dizione di massima funzionalità, secondo un’ipotesi che si pone, al fine, la pagina-oggetto, ovvero la pagina-significante rispetto a qualcosa che già esiste e che deve essere integrato, non imitato. M. non può insabbiarsi nell’operazione intellettuale de messaggio contro, ma deve risolvere la propria ricerca in un risultato per, ossia in una proposta. Egli supera così le secche della poesia visuale che rimane a mezza strada fra la poesia e l’opera figurativa. La marginazione “grafica” della sua ricerca offre la motivazione del messaggio e le decine di copertine per il Castoro risultano, con questa ottica, letture in chiave critico-poetica del contesto perché laddove esiste un universo linguistico che vada oltre la codificazione meramente tecnica, lì è possibile il salto di qualità, l’acquisizione della poesia. Sta appunto all’operatore culturale accostare i segni nel senso giusto per dare vita, come in questo caso, ad una “risposta” originale.
Ancora Galleria 1
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